Giocare è una cosa seria! Competenze del bambino e interazione con gli adulti attraverso il gioco

di Manuela Surano, Psicologa Psicoterapeuta

I bambini imparano giocando, si sa, ma forse non ci è davvero chiaro quanto sia davvero intrinseco nel loro modo di crescere il ruolo del gioco e della fantasia.

La letteratura ci insegna che la relazione è fondamentale ed è alla base di ogni tipo di apprendimento, e che anzi, in assenza di relazione affettiva, nessun reale apprendimento è possibile. Questo vale per tutti i contesti educativi ed in primo luogo per quello di eccellenza: la famiglia.

Quando si pensa all’idea di “giocare con un bambino” si immagina un gioco di scambio e interazione spesso mediato da oggetti appositamente strutturati, con un obiettivo di apprendimento, con una sorta di “trama” del gioco.

Allora è forse opportuno chiedersi di che tipo di gioco si stia parlando, quale sia il tipo di gioco più utile da fare, con che modalità, a che età ed infine per quale obiettivo.

Cercheremo in questo breve articolo di esplorare brevemente queste complesse variabili, non perdendo di vista la lente con cui ci preme da sempre parlare di età evolutiva e psicologia perinatale: la fondamentale relazione tra una madre, un padre ed il loro bambino.

Possiamo iniziare a riflettere interrogandoci su questo primo aspetto:

  1. A che età il bambino inizia a giocare?

Spesso nei nostri incontri con le mamme e nei racconti nella stanza dalla psicoterapia sentiamo dire che “tanto i primi mesi il bambino non capisce, non si rende conto…” assumendo questa ipotesi come giustificazione, (a volte alibi?) ad un comportamento che parla solo il linguaggio dell’adulto e tiene conto delle esigenze e dei tempi dei grandi di casa. Ci si comporta dunque con cura verso il bambino, accudendolo e assolvendo alle sue necessità fisiologiche, ma troppo spesso ancora come se tutto ciò fosse fatto A LUI e non CON LUI.

Ecco il primo cambiamento di prospettiva con cui dobbiamo iniziare a familiarizzare: il bambino è competente, fin dalla vita intrauterina.

Non ha competenze ovviamente nel senso in cui noi lo intendiamo, con un linguaggio “adultocentrico”, perché il suo cervello è, come il resto del suo organismo, in via di sviluppo.

Il bambino è all’inizio estremamente competente rispetto a se stesso, alle proprie percezioni, ai propri bisogni, che gradualmente si definiscono e si sviluppano, a seconda della risposta che ottiene dall’esterno. Durante i mesi della gravidanza il bambino fa un costante allenamento, che sembra gratificarlo molto, che possiamo apprezzare spesso anche dalle testimonianze ecografiche.

Quindi possiamo dire che, anche in questa prima fase, il bambino gioca ed il gioco si esprime attraverso la conoscenza che il bambino fa del proprio corpo, del proprio confine corporeo, dell’effetto che il proprio movimento provoca all’ambiente circostante.

Quando, nell’utero materno, il bambino si dondola (stimolando così le sue cellule epiteliali), si gira, tocca le pareti uterine ed il proprio corpo, tira il cordone, si succhia il dito, apre e chiude gli occhi in risposta alla luce che proviene dall’esterno, si gira verso la voce del padre o verso il fratellino gemello, possiamo dire a tutti gli effetti che sta giocando e che quel gioco specifico costituisce un fondamentale apprendimento sensoriale che fa sentire al bambino: chi è, dove inizia e dove finisce, cosa cambia intorno a lui.

Ecco quindi il secondo punto importante di questa prima riflessione sui tempi del gioco: il bambino non si struttura nella solitudine, ma esclusivamente nella relazione e nella risposta che ogni suo segnale riceve dall’ambiente esterno ed in particolare dall’Altro.

  1. Perché è così importante il gioco nello sviluppo?

In questa breve esplorazione del gioco prenatale abbiamo visto che il gioco ha un’importante funzione di apprendimento e di relazione. Le neuroscienze ci mostrano come questi primi elementi di conoscenza intrauterina siano i precursori di un apprendimento successivo, con cui il bambino impara a distinguere la voce materna dalle altre, il cuore della madre da mille altri rumori, il tono della voce della madre a seconda dei suoi cambi d’umore. Tutto ciò contribuisce a formare l’area della comprensione verbale del cervello, progressivamente in via di formazione, che diventerà poi base del linguaggio.

Nulla è casuale nello sviluppo, nessun apprendimento è inutile.

Col passare dei mesi quindi il gioco cambia e vediamo chiaramente l’espressione eccezionale delle nuove connessioni che il cervello sta creando, con incredibile plasticità e rapidità: ogni giorno è una scoperta, le mamme e i papà lo sanno bene.

Dalla prima esclusiva esplorazione di se stesso il bambino allarga il proprio sguardo, che inizia ad essere più ampio, più curioso, più “intenzionale”.

L’oggetto principale di attenzione resta sempre la madre, che fornisce cure amorevoli e calore, durante l’allattamento, durante il cambio, negli scambi della quotidianità. In questa fase è essenziale lo scambio verbale, anche se il bambino non coglie appieno il significato delle parole, ne coglie il suono, la cantilena dedicata solo a lui (il famoso maternese) che sa riconoscere tra tante, la successione degli eventi (“Guarda sei tutto bagnato, hai fatto la pipì! Ora la mamma ti toglie il pannolino che è tutto bagnato e ti dà fastidio…lo so fa freddo hai ragione, ma facciamo presto poi mettiamo la tutina pulita…ecco visto che va già meglio? Sei asciutto adesso…andiamo? Vieni con la mamma…”) che gli danno stabilità e senso di essere contenuto da mani che lo amano e che lo proteggono anche quando avverte disagio e paura.

Stare davanti allo specchio facendo qualche attività, guardare le luci e le ombre, il cucù, preziosi nei primi mesi di vita, sono giochi semplici, che necessitano solo di tempo e dedizione, di calore e di vicinanza fisica.

Spesso i genitori si impegnano a cercare giochi particolari per favorire lo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino e certamente il mercato offre un’infinità di possibilità interessanti per sviluppare le diverse competenze cognitive, linguistiche, creative, motorie e relazionali dei nostri bambini. Non si deve pensare che i giocattoli (termine che ultimamente pare abbia assunto un’accezione dispregiativa!) ed i giochi in genere siano da snobbare, ma occorre rivalutare l’importanza della relazione nello svolgimento del gioco stesso, dello STARE con il bambino, del favorire la sua attivazione personale, rendendolo partecipe e valorizzando ciò che fa, a prescindere dal tipo di strumento di gioco che si utilizza. Anche perché non è iperstimolando i bambini che essi crescono con maggiori competenze, ma per ogni attività hanno bisogno di un tempo individuale da dedicare alla concentrazione, fatto di silenzio e di “studio” da parte loro dell’attività proposta, che sia la manipolazione, l’osservazione, la ripetizione della stessa sequenza di comportamenti, si tratta di un atteggiamento attivo da parte del bambino che sta immagazzinando tante informazioni.

Oltretutto ogni genitore noterà che tra i giochi proposti e gli oggetti di uso comune inevitabilmente il bambino mostrerà la sua predilezione per gli oggetti che vede utilizzare dai grandi.

Il bambino cresce rispecchiandosi nello sguardo amorevole della madre e prende forza dall’incoraggiamento sicuro del padre (che spesso nella danza della genitorialità si scambiano i ruoli) che attraverso la relazione gli rimandano che lui è adeguato, capace, competente. Queste sono le basi dell’identità e di una sana immagine positiva di sé.

  1. A che cosa serve quindi il gioco?

In questo breve articolo ci siamo ovviamente soffermati sull’importanza del gioco nell’età neonatale e nei primi mesi di vita, ma come sappiamo anche il gioco si modifica nel corso dello sviluppo, perché il sistema nervoso del bambino diviene più complesso, si stabiliscono nuove connessioni neuronali, che producono nuove capacità in ambito cognitivo, linguistico, motorio che a loro volta mettono le basi per nuove connessioni neuronali, in un lavoro costante di rilancio tra genetica, ambiente ed esperienza.

Ogni bambino dunque si approccerà in modo proprio e peculiare all’ambiente, imparando da ciò che vive e da ciò che fa, attraverso la guida dell’adulto, che lo aiuterà a mettere insieme le parti di questa nuova esperienza di apprendimento. Sotto lo sguardo accogliente ed incoraggiante dell’adulto, il bambino esprime le proprie inclinazioni, facendo esperienza anche emotiva di sé nel mondo.

Potremmo identificare tre diverse fasi nello sviluppo del gioco:

Giochi di esercizio (0 -24 mesi)

prevalgono nella fase cosiddetta "senso-motoria". Il bambino, attraverso l'afferrare, il dondolare, il portare alla bocca gli oggetti, l'aprire e chiudere le mani o gli occhi, il camminare prima e il correre e saltare poi, impara a controllare i movimenti e a coordinare i gesti. Il piacere che deriva da questi giochi, spinge il bambino a ripeterli più volte. In questa fase, e grazie a queste attività ripetute tante e tante volte, il piccolo si crea anche uno schema corporeo di se stesso: il movimento lo aiuta a prendere consapevolezza dei suoi arti, dei movimenti che può compiere, della forza che può mettere in questi movimenti e delle parti del corpo non visibili, come ad esempio la schiena.

Giochi simbolici (2 - 7 anni): 

L'esempio tipico è il gioco del far finta, del fare "come se". Secondo Piaget il gioco simbolico organizza il pensiero del bambino e permette la manipolazione e la produzione di immagini mentali durante i quali il bambino assimila situazioni nuove. In questa fase i bambini giocano a creare delle situazioni già vissute in cui “provano” un ruolo differente, ad esempio la mamma, il papà o la maestra, mettendosi nei panni dell’adulto e non del bambino. Il giocare a far finta è molto utile ai piccoli anche quando si trovano a vivere eventi delicati come la nascita di un fratellino, l’inserimento all’asilo, un cambio di abitazione, perché permette loro di rivivere l’evento tante volte, da diversi punti di vista e li aiuta così ad elaborarlo.

Giochi di regole (7 - 11 anni):  

Dapprima sono imitazioni del gioco dei bambini più grandi, poi si vanno organizzando spontaneamente caratterizzando la socializzazione del bambino. Mentre i giochi precedenti tendono a diminuire con l'età, i giochi di regole, all'opposto, diventano più frequenti , dimostrando l'importanza delle relazioni e del codice sociale.

In sintesi quindi il gioco assolve nello diverse fasi (non necessariamente distinte tra loro) dello sviluppo del bambino a molteplici funzioni:

  • Conoscere se stesso;

  • conoscere il mondo (cos’è? In che modo posso usarlo?);

  • esercitarsi ed acquisire competenze (scopro qualcosa, imparo a farla, continuo a farla perché è divertente, osservo le reazioni degli altri…);

  • è lo spazio privilegiato per aiutare il bambino a rielaborare ciò che vive;

  • gestire le proprie emozioni e giocare un ruolo nuovo che di solito non ho (“Facciamo che io ero la maestra…” );

  • imparare a stare con gli altri, gestendo conflitti e diverse esigenze.

  1. E in tutto questo il ruolo del genitore qual è?

Il bambino acquisisce autonomie e desidera sperimentarle per mettersi alla prova e dimostrare che è competente, ma il genitore detiene sempre una posizione imprescindibile. In particolare il genitore accompagna il bambino nell’evoluzione del gioco e quindi di sè, partecipando con piacere genuino: occorre stare nel gioco, frenando in un primo momento la tentazione di modificare o guidare il gioco verso una logica più adulta o meno disorganizzata. Solo poco alla volta, il ruolo del genitore sarà quello di tessere la trama del gioco, mostrando nuove possibilità e alternative.

Spesso la tentazione è quella di velocizzare il gioco, perché abbiamo la visione adulta del “giocare per arrivare ad un punto, ad un obiettivo”; invece per il bambino il gioco stesso è l’obiettivo e non occorre nessuna fretta, nessuna innovazione, nessuna logica definita.

Quanto detto non significa che si debba lasciare libero il bambino di distruggere indisturbato o mettere mano a tutto il materiale di gioco in maniera caotica: il ruolo dell’adulto è anche quello, come sempre, di fornire limiti e organizzazione anche al gioco, che è rappresentazione del mondo interno e come tale necessita di essere contenuto e organizzato.

Per il bambino giocare è una cosa seria…

“…E come un artista, attraverso il gioco il bambino trasforma la realtà, la reinventa e la rappresenta in modo simbolico creando un mondo immaginario che riflette i suoi sogni, i suoi desideri ma anche le emozioni e le sue paure più nascoste.

Il gioco del bambino fatto in libertà e senza forzature è guidato dall'inconscio, che tesse la trama di un incastro tra fantasia e realtà…”

Silvia Vegetti Finzi